Survey Anaao Assomed sulla Responsabilità Professionale: 1 medico su 3 ha subito una denuncia penale e/o civile. Ma solo il 3% viene condannato.
I risultati presentati in occasione del Convegno Nazionale del 10 giugno
SURVEY ANAAO ASSOMED SULLA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE
1 medico su 3 ha subito una denuncia penale e/o civile. Ma solo il 3% viene condannato.
Roma 10 giugno 2025 – Un medico su 3 ha ricevuto una denuncia. Di tipo penale nel 43,6% dei casi, civile nel 30,8% e addirittura di entrambe le tipologie nel 25,6%. Ed è la chirurgia ad essere nel mirino della magistratura con oltre l’82% dei casi segnalati. I più colpiti sono gli uomini over 55 anni che lavorano in ospedali con meno di 500 posti letto. Si vive un clima di caccia alle streghe al punto che almeno 1 camice bianco su 3 pensa di licenziarsi e il 47% rinuncia a ruoli di maggiore responsabilità.
Questi i dati che emergono dalla survey condotta dal Centro Studi dell’Anaao Assomed su un campione rappresentativo di camici bianchi equamente distribuito tra uomini e donne in età compresa tra i 25 e 65 anni con una anzianità di servizio che va dall’ingresso alla pensione.
Rispetto ai procedimenti giudiziari conclusi, solo il 3% circa si è risolto con una condanna. Ma a che prezzo? L’imbocco del tunnel di un processo civile e penale costituisce una penosa esperienza professionale e umana nella quale si passa, grazie anche a una disinvolta pressione mediatica, da indagato a imputato a condannato, prima ancora che il processo sia iniziato. La maggioranza dei casi si conclude con l’assoluzione. Oggi i profili di responsabilità professionale si muovono lungo il sentiero angusto delineato dell’intersecarsi di 4 codici (deontologico, disciplinare, civile e penale), senza che sia chiaro il primato di ciascuno e le relazioni tra di loro.
Analizzando i numeri nel dettaglio emerge con chiarezza la gravità della situazione.
Il 32,8% dei rispondenti ha dichiarato di aver ricevuto almeno una denuncia (civile e/o penale) nel corso della propria attività professionale. Denunce di tipo penale nel 43,6% dei casi, civile nel 30,8% e addirittura di entrambe le tipologie nel 25,6%. Il 22,3% riporta di avere ricevuto almeno una denuncia penale nel corso della propria carriera, il 35,6 % di loro più di una denuncia.
La distribuzione delle denunce per specializzazione vede ai primi posti Ginecologia: 70%, Cardiochirurgia: 70%, Chirurgia generale 66,2%. A seguire Ortopedia: 65,2%, Pronto Soccorso (PS): 53,3%, Cardiologia: 44,9%, Medicina interna: 42%, Radiologia: 38,6%, Anestesia: 37,3%, Direzione medica di presidio ospedaliero 38,5%, Psichiatria: 16,3%.
Anche la Distribuzione per macro-area disciplinare vede al primo posto la Area chirurgica: 239 su 393 (60,8%), seguita da Area medica: 296 su 929 (31,9%) e Area dei servizi: 89 su 584 (15,2%).
La distribuzione geografica segna una prevalenza al Sud e Isole con una percentuale del 39,8%. Al secondo posto il Centro Italia (38,2%), e al terzo posto Nord (27,2%).
Se guardiamo, poi, alla loro distribuzione in base alla dimensione della struttura ospedaliera, il primato spetta agli Ospedali con meno di 500 posti letto (37,6%), seguiti da quelli dotati di un numero di posti letto compresi tra a 500 e 1000 32,2%. Quelli con oltre 1000 posti letto registrano il tasso più basso (28,4%).
Se guardiamo al numero di Denunce in base a sesso, anzianità di servizio e area professionale la situazione è la seguente:
Donne in area chirurgica con > 20 anni di anzianità: 71,1%
Uomini in area chirurgica con > 20 anni di anzianità: 86,2%
Totale (M+F) area chirurgica > 20 anni di anzianità: 82,3%
La chirurgia: un’area ad alto rischio giudiziario
È nell’ambito chirurgico che si registra il tasso più elevato di denunce. In alcune specialità come ginecologia, ortopedia e chirurgia generale, la probabilità di essere denunciati supera il 65%, raggiungendo in ginecologia e cardiochirurgia addirittura il 70%. In altre parole, 7 professionisti su 10 che operano in queste discipline hanno avuto almeno una volta a che fare con un procedimento legale. Un dato che evidenzia quanto la chirurgia, per la sua natura invasiva e ad alta complessità, sia particolarmente esposta al contenzioso.
Le differenze tra aree disciplinari e geografiche
Anche considerando le grandi aree di specializzazione, la chirurgia si conferma la più colpita, con un tasso di denuncia doppio rispetto alla area internistica (60,8% vs 31,9%). I servizi (radiologia, anestesia, psichiatria, ecc.) si mantengono invece su valori decisamente più contenuti (15,2%).
Dal punto di vista geografico, emerge un gradiente crescente da nord a sud: si passa dal 27,2% del nord al 39,8% del sud e isole, con un picco del 65,9% nella sola area chirurgica meridionale. È difficile non interrogarsi sulle cause di questa disparità: carenze strutturali, sovraccarico dei servizi, contesto socio-economico e fiducia nei confronti del sistema sanitario potrebbero tutti giocare un ruolo.
Anzianità di servizio e genere
L’esperienza non protegge. Anzi, tra i professionisti con oltre 20 anni di carriera, i tassi di denuncia crescono sensibilmente, soprattutto in ambito chirurgico. Il dato più impressionante riguarda i chirurghi uomini con lunga anzianità: l’86,2% ha subito almeno una denuncia. Se si considerano uomini e donne insieme, la percentuale scende poco: oltre 8 su 10 (82,3%).
Questo significa che più di 6 chirurghi uomini su 7, e 5 chirurghi di qualunque genere su 6, con almeno vent’anni di attività, sono stati oggetto di un procedimento giudiziario. Si tratta di numeri che non possono essere considerati fisiologici, ma che segnalano una situazione strutturalmente critica.
Strutture piccole, rischio maggiore
Anche la dimensione dell’ospedale sembra influire sul rischio di denuncia: i professionisti che lavorano in strutture con meno di 500 posti letto riportano una frequenza di denunce significativamente più alta (37,6%) rispetto a chi opera in ospedali più grandi (28,4% oltre i 1000 posti letto). Probabilmente, nei contesti più piccoli, la minore disponibilità di risorse, la carenza di personale e l’assenza di équipe strutturate aumentano il rischio di errore e la vulnerabilità legale.
“I risultati della survey – commenta Pierino Di Silverio Segretario Nazionale Anaao Assomed – delineano un quadro di grande tensione per chi lavora nella sanità pubblica italiana, soprattutto per i medici che operano in ambiti ad alta intensità tecnica e decisionale. L’alto numero di denunce – anche penali – suggerisce non solo un aumento del contenzioso, ma anche un clima di sfiducia e di conflittualità tra cittadini e sistema sanitario. Nessuna meraviglia se l’85% di chi ha partecipato alla survey si sente a maggior rischio nella attività lavorativa e il 90% confessi di avvertire una pressione maggiore. Al punto da avere pensato a licenziarsi 1 collega su 3 e a rinunciare a ruoli di maggiore responsabilità, avvertiti come di maggior rischio, nel 47% dei casi”.
“La questione delle denunce – prosegue Di Silverio – non è solo un problema individuale, ma sistemico. È necessario avviare una riflessione profonda sulle condizioni di lavoro dei medici, sulle politiche di tutela professionale, sulla formazione e sul dialogo con i pazienti, per prevenire il contenzioso e restituire serenità a chi ogni giorno garantisce cura e assistenza”.
“L’Anaao Assomed ritiene sia interesse di tutti governare un fenomeno che è parte costitutiva dell’obbligo di garantire i Lea a tutti i cittadini del Paese per rispondere nel migliore dei modi al diritto alla sicurezza delle cure per i cittadini e gli operatori”.
“Dopo la Legge 24/2017 Gelli-Bianco, che ha certo segnato passi avanti, specie sul piano della responsabilità civile, servono – a giudizio di Di Silverio – nuovi strumenti legislativi, quali la definizione di nuovi principi in tema di formazione dell’albo dei consulenti tecnici; il passaggio ad un sistema assicurativo no fault, sul modello francese e scandinavo, svincolato dalla necessità di provare le responsabilità, al fine di ridurre il contenzioso legale; un diverso inquadramento penale della responsabilità medica; un maggiore ruolo riconosciuto al GIP”.
“Ma servono anche – conclude Di Silverio – nuovi approcci culturali, a cominciare dal riconoscimento dell’innegabile peculiarità della professione medica e delle sue caratteristiche di specificità ed interesse sociale nonché delle crescenti difficoltà del contesto in cui essa oggi si esprime. Come ha, peraltro, riconosciuto il provvedimento legislativo sullo ‘scudo penale’, sia pure per un periodo limitato”.